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La cucina russa: storia e ricette

Lo sapevate che...
i bliny russi non sono altro che l'originale delle crepes francesi
"importate" in Francia da Napoleone dopo la campagna di Russia?

Excursus sulla cucina russa
Excursus sulla cucina russa
Quali piatti provare durante il tanto sospirato viaggio in Russia? E' presto detto: sicuramente il salmone, generalmente di alta qualità nei ristoranti a San Pietroburgo. Poi i pelmeny, una sorta di variante nazionale dei nostri tortellini, a base di carne o pesce. Le zuppe, tra cui l'ukha e il borsh, che ben si sposano con le fredde giornate invernali e poi le svariate insalate, tra cui l'olivié che è l'insalata a base di olive che in italiano chiamiamo "insalata russa". Lamponi, fragole, bacche e frutti di bosco, funghi e miele sono prodotti locali di buon livello. Il mors e il kompot sono due succhi a base di bacche bevuti solitamente a tavola e poi c'è la vodka, che non è una grappa o un digestivo pertanto non va bevuta alla fine ma durante il pasto, scandisce il ritmo della cena sulla base dei ripetuti brindisi... 

A San Pietroburgo il livello della ristorazione è sensibilmente aumentato nel corso degli anni ed oggi la maggior parte dei turisti resta soddisfatta: da notare che la cucina russa è poco salata pertanto i piatti (dai piatti di cucina russa alla pizza e pasta nostrane) in genere vengono servite per soddisfare il loro palato. Questa è la top 5 dei piatti russi più famosi con tanto di ricettario ed excursus storico per capire come sono realizzate: 

1. i bliny (simili alle crêpes francesi);

2. il borsh (una zuppa);

3. l’insalata russa;

4. i pelmeni (una sorta di ravioli russi);

5. l'ukha (la zuppa di perca).



1. I bliny a cura di Gianguido Breddo

I bliny russi
Una delle più classiche varianti di bliny,
accompagnati dal caviale rosso
Ricetta
- 20 gr. di lievito di birra;
- ½ lt. di latte;
- 300 gr. di farina “00” (oppure 150 gr. di farina “00” e 150 gr. di farina di grano saraceno);
- 4 uova;
- 1 dl di panna.

Preparazione
Sciogliere il lievito in ½ lt. di latte tiepido e unirvi, mescolando bene, 50 gr. di farina. Lasciar fermentare la pasta che si ottiene per circa 2 ore, posizionando il recipiente in luogo tiepido.
Aggiungere poi la rimanente farina, i tuorli delle uova, una presa di sale e lo zucchero.
Mescolare bene il tutto facendo attenzione che non si formino grumi.
A parte sbattere gli albumi a neve ferma e unire all’impasto già preparato. Montare la panna, unirla e mescolare bene. Lasciare lievitare ancora una mezz’ora.
Ungere con del burro una padellina (oppure delle formine per tartelette), versare con un mestolo un pò d’impasto e mettere sul fuoco, facendo dorare e rivoltando una sola volta in modo che risulti cotto uniformemente.

Bliny... la pizza russa!
Se mi è consentito il paragone azzardato, direi che i bliny stanno alla Russia come la pizza sta all’Italia! E come per la pizza, i bliny hanno varcato le frontiere e sono diventati ambasciatori del buon gusto russo nelle tavole di tutto il mondo, tant’è che sono sicuramente il piatto più conosciuto.
Questa universale diffusione ha fatto sì che fossero presi come base per infinite varianti locali, non tutte coronate da risultati positivi e perdendone, in gran parte, la filosofia originale.
Ma torniamo ai nostri “originali” bliny, che hanno segnato la storia della Russia fin dai tempi pagani rappresentando il più conosciuto dei cibi "rituali" che venivano preparati e consumati in occasione di determinate feste durante l'anno.
Masleniza, la festa dei bliny
Quadro rappresentante Masleniza,
la festa dei bliny e dell'arrivo del sole
Dorati e rotondi come il sole, i bliny (crêpes di farina di frumento o di grano saraceno o di farina mista) erano preparati nel carnevale del calendario religioso, ma soprattutto nei festeggiamenti tradizionali di Masleniza, festa religioso-pagana dell'incontro con la primavera e con il suo primo sole, che si festeggia durante l’ultima settimana prima della Quaresima.
Rappresentavano appunto l'immagine magica del sole, per costringerlo a tornare dopo il lungo inverno, ed erano anche la versione ricca di quello che era stato per tutte le popolazioni del mondo il più antico cibo di farina "cotto"; una pastella cioè di acqua e farina cotta su pietre ardenti, e che servivano anche da contenitore e piatto.
Nella tradizione del carnevale e soprattutto nella settimana grassa invece i pranzi erano ricchissimi, con oltre 15-20 portate, cui potevano partecipare anche persone non invitate, nelle quali si mangiavano, obbligatoriamente, e si offrivano i bliny.
Le famiglie iniziavano la loro preparazione e cottura già nei giorni precedenti la festa, affinchè i bliny non mancassero in nessuna tavola, ed ogni massaia poneva il primo bliny sulla finestra o comunque lo dedicava alle persone care e scomparse.
Questa tradizione non solo non si è persa, ma possiamo affermare che i bliny, e le loro varianti (di cui la più conosciuta è rappresentata dai blinciki) sono parte integrante della cucina corrente russa.
La differenza sostanziale fra bliny e blinciki è la pasta che nei primi è lievita mentre nei secondi no. Quindi i bliny risulteranno di diametro più piccolo, con spessore pari a circa 1 cm., mentre i blinciki, avranno diametro maggiore e spessore molto fine.
Ambedue possono essere farciti sia con dolce che con salato, anche se, a mio parere, i bliny si sublimano con caviale o salmone, perdendo il carattere di cibo povero ed acquisendo il rango di raffinata specialità.



2. Il borsh 
a cura di Gianguido Breddo

Il borsh russo
Il borsh non può mancare a San Pietroburgo: 
rigenerante durante gli inverni freddi
ottimo d'estate a temperatura ambiente
Ricetta
- ½ kg. di carne di maiale;
- ½ kg. di carne di manzo;
- ¼ di verza;
- 4 patate;
- 1 barbabietola grossa;
- 100 gr. lardo di maiale;
- 25 gr. burro;
- 2 pomodori ben maturi;
- 1 carota;
- 1 radice di prezzemolo;
- 2 cipolle;
- 2 cucchiai di aceto;
- 2 cucchiaini di zucchero;
- 3 foglie di alloro;
- 4-5 spicchi d’aglio;
- 3 grani di pepe aromatico;
- 6 grani di pepe nero piccante;
- 1 mazzetto di prezzemolo;
- 1 cucciaio di spezie assortite (vedi testo);
- 1 bicchiere di smetana;
- sale q.b.

Preparazione
1. Preparare il brodo come sopra descritto, filtrare e rimettere sul fuoco, regolando di sale;
2. Soffriggere la barbabietola a tocchetti (precedentemente bagnati con l’aceto), in una parte del lardo (o nel grasso schiumato dalla superficie del brodo), aggiungendo la punta di un cucchiaino di zucchero.
3. Appassire nel rimanente lardo e nel burro le cipolle, la carote, la radice di prezzemolo (tutto tagliato finemente) aggiungendo infine i pomodori spezzettati.
4. Tagliare le patate a dadi e cuocere nel brodo a bollore per 10 minuti;
5. Aggiungere la verza tagliata, lasciando cuocere per altri 5 minuti;
6. Aggiungere gli ingredienti elencati nelle voci 2 e 3, cuocere altri 10 minuti;
7. Aggiungere l’alloro e le spezie, lasciando cuocere un paio di minuti;
8. Condire con il pesto di aglio, lardo e prezzemolo;
9. Lasciare “maturare” per 20 minuti su piastra calda;
10. Condire ogni piatto con un cucchiaio di smetana.
Direte: è tutto? No, attributo sine-qua-non di un vero borsch sono gli speciali panini con cipolla. Solo accompagnandolo con questi, e non con il pane di segale, si apprezza il vero gusto del borsch!

Borsch... un rosso doc!
Ecco l’esempio di un piatto che è stato “importato” nella cucina russa per diventarne uno dei simboli più famosi internazionalmente, ma che nasce in Ucraina, una delle sconfinate regioni che facevano parte dell'enorme impero degli Zar.
Che il borsch sia una zuppa il cui componento principale è la barbabietola, da cui dipende principalmente il gusto ed il caratteristico colore rosso, lo sanno tutti ed in tutto il mondo, ma forse non tutti sanno che è uno dei pochi piatti che meno è sceso a compromessi con il passare del tempo, conservando le sue caratteristiche originali soprattutto sul modo di cottura, scandito dai tempi del focolare cioè quell'enorme stufa russa chiamata Piecka, che non solo scaldava la casa durante il lungo inverno russo, ma serviva per cuocere il pane, per essiccare gli alimenti da conservare, per asciugare il bucato, per preparare da mangiare e da bere.
Il borsh russo
La zuppa borsh,
il rosso doc russo
Piatto di antiche origini quindi il borsch, che pur non snaturando la propria filosofia di base, conta una dozzina di varianti, dovute principalmente alle dominazioni susseguitesi sui territori dell’Ukraina da parte di russi, polacchi, moldovi, rumeni e ceki, ma anche alle influenze sulla cucina ukrainiana di costumi e gusti turchi, nogai, crimei, ungheresi e greci.
Ecco perché nelle varie versioni si usa non solo carne di maiale, ma anche di manzo, di montone, di pollo, di anatra, di oca oppure brodo di ossa senza nessun carne aggiunta.
Ma torniamo agli aspetti più propriamente culinari di questo piatto, che é di composizione complicata, con più di 20 ingredienti e la cui preparazione non è certamente facile, perché fa parte delle cosiddette “zuppe di conditura”, cui certi parti vanno previamente soffritte in padella e solo dopo vanno immesse nel brodo preparato.
Il borsch si prepara sulla base di un brodo di carne (o di ossa o di un misto carne+ossa), ma sempre tenendo presente che un brodo preparato bene fa un borsch buono. In alcune ricette tradizionali il brodo è arricchito con pancetta.
Nel caso di brodo di ossa, queste vanno rotte per lungo, e la cottura deve durare non meno di 4/6 ore, mentre usando la carne bastano circa 2,5 ore. Quando l’acqua comincia a bollire, la cottura deve procedere a fuoco lento. Per la preparazione del brodo carne+ossa, prima vanno bollite le ossa per 2/4 ore, e successivamente si mette carne fino a cottura ultimata (ancora circa 2,5 ore), o comunque fino a che l’acqua immessa avrà ridotto della metà il proprio volume, poiché il piatto finito non deve contenere più di un bicchiere e mezzo del brodo scolato, per ogni razione del piatto.
A questo punto la carne (e le eventuali ossa) va tolta dal brodo che viene filtrato a staccio fine, e messa da parte in attesa di essere successivamente rimessa in pentola 10/15 min. prima dell’ultimazione della preparazione. E’ tradizione servirla a sé, mentre alcuni piccoli piccoli tocchetti saranno lasciati nella zuppa.
Ecco che la nostra base per poter cominciare a cuocerci dentro le verdure è pronta, ma attenzione, perché una delle particolarità nella preparazione del borsch è la lavorazione divisa delle verdure. Per esempio, la barbabietola va trattata a parte e prima di andare al fuoco va spruzzata con aceto (oppure succo di limone), perché conservi il colore rosso, e messa a soffriggere nel lardo (o nel burro) fino a cottura ultimata. In alcune varianti la barbabietola viene arrostita o fritta intera con la buccia fino a mezza cottura, dopo di che si sbuccia, si fa a tocchetti e la si mette nel brodo.
La cipolla va tagliata fine, assieme alla carota ed alla radice di prezzemolo, e appassita per 15 minuti, in padella con lardo e burro. Ad appassitura quasi ultimata, vanno aggiunti i pomodori tagliati fini, ed il tutto va’ cotto fino a che il lardo non si colora del rosso dei pomodori.
E molto importante inoltre la sequenza della messa delle verdure nel brodo, che deve corrispondere precisamente alla durata di cottura di ogni verdura. Le patate vanno messe 30 minuti prima della cottura ultimata, la verza 20 minuti prima, la barbabietola soffritta e preparata 15 minuti prima, le verdure appassite (cipolla, carota, radice del prezzemolo più il pomodoro) 15 minuti prima, le spezie 5 minuti prima.
L’aglio assieme al lardo ed al prezzemolo va schiacciato nel mortaio, fino ad ottenere una crema uniforme che serve a dare il condimento al borsch, 2/3 minuti prima della cottura ultimata dello stesso.
Una particolarità importante del borsch è l’uso abbondante di spezie e di erbe aromatiche. Senza cipolla, alloro, aglio, pepe, levistico, angelica, aneto, maggiorana, santoreggia, coriandolo e sedano non esiste un buon borsch dal forte e stimolante aroma.
In alcune versioni del piatto, quando si voglia esaltare il gusto acidulo caratteristico, é tradizione aggiungere del kvas (una specie di birra ottenuta dal pane nero fermentato) o del succo di barbabietola salata-fermentata, o ancora mele verdi, ma questi vanno aggiunti dopo la cottura della carne, al brodo già pronto, affinché non perdano la loro caratteristica durante la lunga bollitura.
A cottura ultimata la pentola con il nostro borsch va posizionata su una piastra calda (perché non si raffreddi troppo), e si lascia maturare per 20 minuti, dopo di che si serve in tavola, con un cucchiaio di smetana (panna acida).



3. L'insalata russa a cura di Gianguido Breddo

L'insalata russa Olivie
Quella che in Italia chiamiamo "insalata russa"
è in realtà una delle tante insalate
chiamata in Russia "olivié"
Ricetta
La ricetta indicata non ha pretese di altari culinari, ma è quella tradizionale russa, (potremmo dire la madre di tutte le insalate), sia per rispetto alla filosofia che ai componenti tradizionali russi:
- 3-4 patate di media grandezza;
- 2 carote;
- 2/3 cipolline verdi;
- 2 uova sode;
- 100 gr. di piselli in scatola;
- 2 cetrioli in salamoia;
- 150 gr. di carne di manzo lessata;
- 200 gr. di maionese.

Preparazione
Far bollire le carote e le patate con la buccia e, quando pronte, sgocciolarle e lasciarle raffreddare. Sbucciarle e tagliarle a dadini di circa 1x1 cm. – tagliare allo stesso modo i cetrioli, la carne e le uova sode (per quanto sarà possibile).
Deporre tutti gli ingredienti in un recipiente, spezzettare le cipolline verdi, aggiungere i piselli (lavati e asciugati dal loro liquido di conserva) e la maionese: mescolare delicatamente il tutto, aggiustando di sale.
Servire freddo su un piatto di portata, formando una cupola di insalata russa, e decorando con foglie di prezzemolo.

La carota non può dormire,
perché l’insalata... Russa!
La carota non può dormire, perché l’insalata... russa! ...così recitava una battutina da bambini, ma questo dell’insalata russa é proprio un argomento sul quale vale la pena di soffermarci!
Chi é un po’ pratico di cucina russa, come i miei cortesi e pazienti lettori che in Russia vivono o soggiornano, sa che le insalate (anche se ben lungi dall’essere intese come da noi) sono le regine incontrastate della tavola, tant'è che si usa dire “se non c’è la catinozza (tasik) di insalata, non c’è festa...” . Quindi tavole imbandite, soprattutto per le feste, con tante varianti di queste insalate da far credere che questa tipologia di antipasto (perché di antipasto si tratta) abbia qui radici e tradizioni antichissime.
Niente di più falso, visto che fino alla vigilia della prima guerra mondiale la parola insalata (salat) in Russia era praticamente sconosciuta alla quasi totalità della popolazione, con l’eccezione di coloro che erano adusi a viaggiare all’estero oppure a maneggiare i ricettari della cucina francese.
L'insalata russa
L'insalata russa è
un piatto relativamente recente
Le insalate come piatto sono invece venute nella cucina internazionale proprio dall’Italia, e volendo essere ancora più precisi, dall’antica Roma, dove il termine insalata indicava un piatto unico, le cui componenti erano indivia, prezzemolo e cipolla, conditi con miele, pepe, sale e aceto.
Nel Medioevo le insalate si preparavano con il verde della cipolla, il verde dell’aglio, menta e prezzemolo, condite con sale, pepe, aceto, a volte con acido citrico, spezie e aromi vari in abbondanza, creando una composizione assai piccante che ben si abbinava soprattutto con le carni arrostite.
Pur con arricchimenti e varianti, il termine insalata ha quindi significato un piatto composto solo da erbe e verdure a foglia verde e cruda, fino all’inizio del secolo XVII quando, uscite dalla nostra penisola, arrivano in Francia come piatto raffinato sulle tavole di corte.
Dapprima servite esclusivamente come contorno all’arrosto, trovarono qui la loro seconda patria conoscendo ulteriori sviluppi, non solo perché l’arte culinaria in Francia era più sviluppata, ma anche perché il clima francese, essendo più freddo di quello italiano, favoriva un fogliame più generoso in tutte le piante a vocazione insalatara. Sono proprio i francesi ad aggiungere la lattuga, diffondendone l’usanza in tutti i paesi europei, tant’è che la pianta riceve il nome del piatto da essa preparato.
Devono passare ancora molti decenni perché nelle insalate finiscano cetrioli crudi, asparagi e carciofi, accettati in quanto piante dal colore verde (il colore-simbolo della insalata) e solo a cavallo dei secoli XVIII e XIX, quando nelle insalate cominciarono ad essere introdotte non solo verdure dal colore non-verde, ma persino tuberi crudi (carote, barbabietole, patate, navone), che i cuochi precedentemente non osavano immettere poiché provenendo “dal sottosuolo” erano considerati sporchi.
Mentre le insalate vere e proprie continuano ad essere preparate solo da foglie di verdure verdi, fresche e crude, cominciano ora ad apparire (e qui siamo alla svolta epocale) un altro tipo di insalate (che definiremo insalate–vinaigrette), composte anche da verdure cotte spezzettate.
E’ proprio questa nuova composizione che spinge a ricercare condimenti sempre più complicati e diversi, fra cui alcune salse fredde (e soprattutto la maionese), poiché le insalate di tuberi e verdure non-verdi, essendo “meno delicate” chiedevano un condimento più piccante, il cui scopo principale era di mascherare “il sapore di terra”, vero o presunto, dei tuberi e giudicato insolito ed irritante dai buongustai del tempo.
L'insalata russa Olivie
Gianguido Breddo ci racconta
i segreti dell'insalata russa
Così cominciano ad essere introdotte verdure salate-marinate, quali crauti, cetrioli e cavolo, oltre a capperi ed olive, mentre in Germania e Russia, mancando quest’ultimi due, funghi e aringa marinati.
Ecco quindi delineato il percorso che dal piatto di verdura verde e cruda, fa derivare un nuovo piatto misto, che comunque ne conserva il nome. Per distinguere le insalate vere e proprie (che continuano ad essere l’accompagnamento principale degli arrosti) dalle insalate-antipasti, fatte da verdure cotte, pesci, carni, selvaggina, uova e funghi, nella cucina francese si applica una regola rigorosa, benché non scritta, di chiamare le insalate-antipasti non secondo la composizione (come si faceva con le insalate vere: di cetrioli, di lattuga ecc.), ma con in nome del posto di nascita, o della nazione.
Appaiono così l’insalata alla polacca, l’insalata alla russa, l’insalata all’italiana ecc.
La stessa regola era accettata dall’alta cucina di ogni singolo paese, dove le insalate di carne, di pesce o di granchio ricevettero i nomi “della Capitale”, “di Mosca”, “di Sofia” eccetera mentre come detto, le insalate fatte da verdure fresche continuarono ad essere indicate a secondo della loro composizione: “con pomodoro e cipolla”, “con cetrioli, pomodori e panna acida” ecc.
Queste ultime nei tempi passati, in Russia, non hanno mai trovato estimatori, e non solo per la scarsa e limitata disponibilità di materia prima, tant’e’ che l’atteggiamento popolare verso esse era: “erba! insalata non fa’ un pasto. Non ti sazi con una foglia”.
Avendo conquistato nel secolo XX la tavola di massa in tutti i paesi dell’Europa e America, le insalate cominciarono, per così dire, un altro “giro” del loro sviluppo, acquisendo in certi paesi le particolarità nazionali.
E’ proprio all’inizio di quel secolo che anche in Russia furono create insalate sulla base di preparazioni tipiche nazionali: funghi e cetrioli in salamoia, cavolo e crauti, mescolati con cipolla e conditi con olio di semi di girasole, aceto e pepe.
Tanto è invalso questo modo di preparare che se andiamo a consultare un dizionario moderno di lingua russa, il concetto “insalata” viene indicato come un piatto composto da pezzetti freddi di verdure, carni, pesci, uova, funghi, frutta. Il piatto ha, dunque, due particolarità: freddo e fatto da pezzetti.
Il concetto russo odierno di insalata è quindi di un piatto misto, di preparazione semplice e veloce, per il quale ci si può ormai sbizzarrire in infinite varianti (dipende da cosa offre la fantasia ed il frigorifero) e soprattutto che si può preparare in anticipo, cosa questa indubbiamente utile nella preparazione del pranzo della festa.
Ma torniamo alla nostra insalata russa, piatto universalmente conosciuto di nome ed un po’ meno di fatto. Dico questo perché recentemente ho avuto la sfortuna di assistere ad un programma televisivo dove un “famoso” cuoco ammanniva la sua versione dell’insalata russa, infarcendola di componenti che non fanno parte della tradizione culinaria russa: ma per carità, faccia quello che vuole, ma abbia il buon gusto di attenersi alla regola francese e la chiami... insalata alla Baschi!



4. Ravioli? Ma no, son pelmeni... a cura di Gianguido Breddo

I mitici pelmeni russi
Un buon piatto di pelmeni non si rifiuta mai,
i pelmeni sono la variante russa dei nostri tortellini
Ogni popolo si distingue dagli altri per il proprio modo di vivere, per le caratteristiche somatiche, per i propri usi, costumi, tradizioni e per la propria cucina.

Ma vi sono piatti che, con qualche variante locale, si possono definire universali per la loro diffusione in culture diversissime, quali, appunto, i pelmeni (ravioli farciti). Ma al di là dei paralleli culinari, che vedremo più avanti, vale la pena di soffermarsi sull’origine e sulla storia di questo piatto così giustamente famoso.
 
Le popolazioni siberiane, dai loro sconfinati territori, hanno sempre tratto quantità di selvaggina, funghi, bacche ed erbe salutari, che cucinate adeguatamente e soprattutto conservate con maestria, dovevano garantire provviste alimentari e vitaminiche per tutto il lungo inverno. Ecco quindi che sono entrate a far parte della cucina russa ricette particolari, create appunto da queste popolazioni, come i pelmeni che venivano fatti dalle massaie in grandi quantità e conservati sotto la neve della Siberia, e che spesso accompagnavano i viaggiatori nei lunghi viaggi attraverso la steppa ghiacciata.
 
La parola pelmeni proviene dalla lingua komi-permiak, uno dei popoli ugro-finnici che abitavano la Russia settentrionale, e significa “orecchi di pasta”. Questo piatto, dalla regione degli Urali, era già stato assimilato dalla cucina russa nella fine del XIV secolo, ma diventò particolarmente diffuso all’inizio della colonizzazione delle terre transuraliche. I pelmeni, le cui origini sono quindi sono antichissime e di probabile derivazione dai rituali di popoli del Nord-Est della Russia (permiaki, komi, udmurty, nonché dei tartari della Siberia) erano conosciuti da altri popoli ugro-finnici, anche se sotto altri nomi.
 
I mitici pelmeni russi
Una moderna forma per preparare i pelmeni
in modo più veloce e preciso
E’ assai probabile che l’uso di questo piatto sia arrivato nell’antico Ural dai paesi dell’estremo oriente, dalla Cina (vedi i tradizionali ravioli cinesi) o dagli antichi stati dell’Asia Centrale, ma si sviluppò e ottenne il riconoscimento internazionale sotto il suo nome uralico. Da qui in poi i pelmeni sono serviti di base per la creazione di piatti simili nella cucina di diverse popolazioni vicine, ma con altri nomi, con altra composizione della farcitura, altre misure e forma, come, per esempio, i “kundiumy” russi, “diuspara’” di Iran e Azerbaidgian, “koltunai” lettoni, “manty” uzbeki, “boraki” armeni, “podkogyglio” di Mari-El, “vareniki” ukrainiani, “balyk-berek” turkmeni di Ogurdgiala. Ma veniamo agli aspetti più propriamente culinari: i pelmeni “a regola d’arte” sono farciti con una mescola di tre tipi di carne macinata: vitello (45%), agnello (35%) e maiale (20%). La pasta per pelmeni è il solito impasto alla casalinga, farina acqua e sale (ma senza le uova come si usa in Italia). La farcitura, oltre alle carni macinate, contiene cipolla sminuzzata, un po’ di erbe tritate (ortica, prezzemolo ecc., dipende dalla stagione), pepe, un pizzico di farina (per renderla più collosa) e un po’ di brodo di carne, per inumidirla al punto giusto.

I pelmeni diventano particolarmente buoni se congelati subito dopo la preparazione, ricalcando il procedimento originale (e tuttora ovviamente usatissimo) della Siberia. La congelazione migliora l’organolettica dell’impasto: ecco perché la migliore specie di pelmeni si chiama “siberiani”. Dunque, “pelmeni siberiani” o “uralici” sono pelmeni previamente congelati, il cui nome non dipende da qualche farcitura speciale, come comunemente si pensa. I veri pelmeni devono avere un bordo largo intorno alla farcitura, la quale deve essere libera nel vano di pasta con assai spazio vuoto, perché altrimenti durante la cottura l’involucro scoppia.
 
Perciò i pelmeni di produzione industriale, o fatti in casa usando l’apposito attrezzo, non aventi queste caratteristiche, non saranno così buoni come quelli preparati nel modo tradizionale. I pelmeni vanno cotti fino alla cottura completa della pasta, perciò la robustezza della giunta del bordo di pasta è importantissima per la buona riuscita del piatto: a tal scopo, prima di attaccare i bordi della pasta insieme, questi vanno bagnati con acqua fredda. Durante la cottura, che va assolutamente fatta nel brodo di carne e mai nell’acqua salata e basta, i pelmeni devono salire a galla due volte, dopo di che sono pronti. E’ tradizione servirli nella tradizionale scodella in coccio (garsciocik), con un po’ del loro brodo, un cucchiaio di panna acida (smetana) e, volendo, una spolverata di prezzemolo e aneto (ukrop) tagliati finissimi.



5. Ukha e le zuppe di pesce a cura di Gianguido Breddo

L'ukha di perca
E' spettacolare l'ukha di perca 
durante le fredde giornate invernali
Ricetta (per 4 persone)

- 800 gr. di pesce perca (sudak);
- 600 gr. di patate;
- 350 gr. di pomodori ben maturi;
- 2 cucchiai di burro;
- 1 cipolla;
- 1 foglia di alloro;
- 10 grani di pepe nero;
- qualche foglia di sedano;
- 1 mazzetto di prezzemolo;
- 3 cucchiai di aneto (ukrop) e prezzemolo tritati finissimi;
- sale.

Preparazione
Vuotate e pulite il pesce perca sfilettandolo e avendo cura di mettere da parte le teste, le lische e la pelle.  Ponete teste, lische e pelle in una pentola con 1,5 lt. di acqua salata e fate bollire a fuoco medio per 30 min. Filtrate, gettando gli avanzi di pesce, e ponete nel brodo le patate tagliate a dadini, la cipolla tagliata sottile, il mazzetto di prezzemolo, le foglie di sedano. Fate bollire per 20 min. circa, fino a che le patate non saranno quasi cotte. Aggiungete i filetti di pesce perca (sudak), i pomodori tagliati a tocchetti, la foglia di alloro, i grani di pepe e terminare la cottura a fuoco lento per altri 10 minuti. Estrarre il mazzetto di prezzemolo, aggiungere il burro e servire nei piatti, avendo cura di posizionare un pezzo di pesce ricoperto con il brodo. Spolverare infine con la miscela di aneto (ukrop) e prezzemolo tritati finissimi.
 
Cosa bere insieme?
Davanti alla consueta battuta: “cosa si mangia oggi... ukha o zuppa di pesce?” rispondiamo sempre “ukha”, perché questo piatto va obbligatoriamente accompagnato dalla vodka, al contrario della “zuppa di pesce”!

Le zuppe di pesce, fra storia e tradizione
Se gli italiani sono i focosi amanti della pastasciutta, i russi sono sicuramente i teneri amanti delle zuppe. Ecco quindi che non possiamo continuare la nostra carrellata sui principi della cucina russa, senza fermare la nostra attenzione su questo piatto tradizionalissimo e proposto in centinaia di varianti.
L'ukha di pesce
Tradizione vuole che questa zuppa 
debba sempre essere accompagnata dalla vodka
Miseria e nobiltà della cucina russa
, le zuppe in generale e la zuppa di pesce “ukha” in particolare, vantano spesso storie suggestive che affondano le loro radici nelle leggende. La presenza di grandi fiumi e laghi ha da sempre portato ad un grande utilizzo di innumerevoli varietà di pesci nell'alimentazione, che venivano utilizzati per preparare sia antipasti, che zuppe, che piatto principale (gariaci).
Va comunque notato che nei tempi antichi e fino al 18 secolo, ogni tipo di zuppa si chiamava “ukha”. Così nei libri tradizionali della storia della cucina russa si menzionano l’ukha di funghi, di pollo, di lepre, di pesce (ma specificando denominazione e ricetta per ogni singolo tipo di pesce), oppure l’ukha bianca con cipolla, gialla con zafferano, nera con pepe e garofano. Tradizione voleva che fra le diverse portate di ukha (меж ух ...), si servissero in tavola i pasticci (piroghi), le frittelle (bliny) ecc... Solo recentemente è invalso l’uso di definire come “ukha” solo i primi piatti di pesce, preparati con il brodo di pesce.
Attenzione: se oltre al pesce (ed alle verdure che poi vedremo in dettaglio) si aggiungeranno dei cereali, cavolo, barbabietola, o della pasta, allora il nostro piatto non si potrà più chiamare “ukha”, ma gli sarà dato il nome di brodaglia (pokhlebka) o di zuppa di pesce. Come già sopra detto, le varianti alla ricetta base sono moltissime e si discostano soprattutto per il pesce utilizzato, raggiungendo risultati eccellenti con l’impiego di qualità pregiate come lo asterlino (sterladz).
Qui di seguito vi proporrò una delle ricette tradizionali, come si prepara abitualmente nelle famiglie, e che è alla portata di qualunque aspirante cuoco. Seguite la ricetta, il risultato è garantito e potrete stupire i vostri ospiti!


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